ADHD: come si diagnostica?
L’ADHD, o Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività, è un disturbo del neurosviluppo che si manifesta generalmente nell’infanzia e può persistere in adolescenza e in età adulta. La sua diagnosi è un processo complesso che richiede un’attenta valutazione clinica, poiché i sintomi possono sovrapporsi ad altre condizioni e variare molto da persona a persona. In questo articolo vedremo come si diagnostica l’ADHD, quali sono gli strumenti utilizzati e i professionisti coinvolti.
1. Comprendere i sintomi principali
L’ADHD si caratterizza per tre aree sintomatiche principali: disattenzione, iperattività e impulsività. Alcuni esempi includono difficoltà a mantenere la concentrazione, facilità a distrarsi, irrequietezza motoria, tendenza a interrompere gli altri o agire senza riflettere. Nei bambini, questi comportamenti devono essere presenti in più contesti (ad esempio a scuola e a casa) e interferire significativamente con le attività quotidiane.
2. Il primo passo: la valutazione clinica
La diagnosi di ADHD non si basa su un singolo esame o test di laboratorio, ma su una valutazione multidisciplinare. Il primo passo spesso avviene attraverso il pediatra o il medico di base, che raccoglie informazioni preliminari su sviluppo, comportamento e storia familiare del bambino o del paziente adulto. Dopodiché, il paziente viene inviato a specialisti come neuropsichiatri infantili, psicologi clinici o psichiatri.
3. Colloqui e anamnesi dettagliata
Il colloquio clinico è fondamentale: il professionista raccoglie un’anamnesi completa che comprende lo sviluppo motorio, linguistico e cognitivo, eventuali difficoltà scolastiche e la storia comportamentale. Anche il contesto familiare e sociale viene analizzato, per escludere o riconoscere fattori ambientali che possono influenzare l’attenzione e il comportamento.
4. Questionari e scale di valutazione
Uno strumento molto utilizzato nella diagnosi di ADHD è rappresentato da questionari e scale standardizzate, compilate sia dai genitori che dagli insegnanti. Questi strumenti aiutano a quantificare la frequenza e l’intensità dei sintomi, confrontandoli con quanto atteso per la fascia di età. Alcuni esempi includono la Conners Rating Scale e la ADHD Rating Scale.
5. Osservazione diretta e test neuropsicologici
In alcuni casi vengono effettuate osservazioni dirette del comportamento in contesti strutturati e non strutturati. Possono essere eseguiti anche test neuropsicologici per valutare le funzioni cognitive come memoria di lavoro, attenzione sostenuta e capacità di pianificazione. Questi strumenti non sostituiscono la valutazione clinica, ma la integrano fornendo dati oggettivi.
6. Esclusione di altre condizioni
La diagnosi di ADHD richiede sempre l’esclusione di altre condizioni che possono causare sintomi simili, come disturbi d’ansia, depressione, difficoltà di apprendimento o disturbi del sonno. In alcune situazioni, possono essere richiesti esami medici per assicurarsi che non ci siano altre cause organiche alla base dei comportamenti osservati.
7. Conclusione e piano di intervento
Una volta raccolte tutte le informazioni, lo specialista formula la diagnosi basandosi sui criteri stabiliti dai manuali diagnostici internazionali (come il DSM-5). La diagnosi di ADHD non è un punto di arrivo, ma l’inizio di un percorso di supporto e trattamento personalizzato, che può includere interventi psicologici, educativi e, in alcuni casi, farmacologici.
In sintesi, diagnosticare l’ADHD richiede un approccio attento, multidisciplinare e individualizzato. Solo una valutazione completa e accurata permette di distinguere l’ADHD da altre condizioni e di avviare un percorso di supporto efficace, migliorando la qualità di vita di chi ne è affetto e della sua famiglia.
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